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Le probabilità di amarti

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Secondo la sedicenne Zander Osborne, il “nulla” è un luogo che esiste davvero, e lei ci sta bene. Ma i suoi genitori insistono affinché esca dalla sua testa e cominci a frequentare il Camp Padua, un campo estivo per adolescenti problematici. Zander non si integra, o almeno così crede. Ha una sola parola per descrivere i suoi compagni: pazzi. C’è Cassie, sua compagna di stanza, che si autodefinisce maniaca depressiva anoressica bipolare; Grover Cleveland (sì, come il Presidente), un ragazzo bello ma aggressivo, che prima o poi si aspetta di diventare schizofrenico, vista la sua situazione. E poi c’è Bek, un affascinante e sconcertante bugiardo patologico. Ma tra le sessioni di condivisione terapeutica e le confessioni proibite a notte fonda, si stringono amicizie improbabili, e con l’avanzare dell’estate i quattro ragazzi cominciano a rivelare i propri tragici segreti. Zander si ritrova inevitabilmente attratta dal fascino ardente di Grover, e inizia a chiedersi se potrà essere felice. Ma per avere qualche speranza di rimettersi in sesto, prima dovrà aprirsi del tutto.

Data di pubblicazione: 20/11/2021
Lingua:
Italiano
Formati disponibili: Copertina flessibile, Epub, Mobi per Kindle
Spedizione: Entro 3 giorni lavorativi (salvo imprevisti). Consulta le Faq sulla spezione qui

1 recensione per Le probabilità di amarti

  1. chiara.verzulli

    L’ho amato.
    Non credo di poter iniziare in altro modo questa mia recensione per un libro che definire intenso mi sembra quasi riduttivo.
    È una storia che non si può non apprezzare, commuove per il suo realismo.
    Mi ha fatta tornare alla mia adolescenza, un salto temporale indietro grande e profondo che mi ha permesso di vedere quanto le cose siano cambiate.
    La voce narrante è Zander che ci porta a conoscere i ragazzi del Camp Padua: Cassie, Grover e Bek.
    Cosa hanno in comune questi ragazzi? Cos’è il Camp Padua? Mi basta una risposta unica. Camp Padua è un campo estivo per adolescenti problematici.

    Ormai sono decisamente adulta, se preferita diversamente adolescente, e spesso leggo e sento del “male giovanile” della nostra epoca. Sono ragazzi perennemente collegati al mondo ma tremendamente soli. Mio figlio ha solo sei anni e, pensandoci, non sono poi così tanto distante da quella fascia di età che dovrebbe essere ricca di emozioni e nuove prime volte, il primo bacio, il primo ragazzo, le prime cotte.
    Della mia adolescenza ho bellissimi ricordi, come le estati passate in un campeggio dove ogni anno ci si ritrovava con amici che durante l’anno era complicato vedere e sentire perché in altre regioni. Le serate al bar del luogo di villeggiatura, le mattine in spiaggia dove non si stava mai fermi – un continuo entrare e uscire dall’acqua –, le sfide al biliardino, il cornetto caldo quando arrivava la mezzanotte, i pomeriggi afosi dove tutti ci riunivamo in una delle tende per giocare a carte e chiacchierare. Una delle cose che ricordo è la fitta corrispondenza durante l’inverno, quando ognuno a casa propria si prendeva del tempo per scrivere una lettera e poi andare a spedirla.
    È vero, si tratta di più di vent’anni fa, ma quel ricordo continua a permanere in me e mi rendo conto che è vero, non avevamo il cellulare, i tablet, i computer sempre a disposizione, ma forse avevamo la fortuna di avere i rapporti, a vivere le vere amicizie.
    Di quel periodo mi porto dietro i diari, i tanti diari in cui sfogavo i miei dubbi, i miei batticuori, la mia rabbia, la frustrazione, ma anche la felicità.
    Non dico che nella mia epoca (oddio che tristezza detta così) fosse una passeggiata di salute l’adolescenza, ma non era di sicuro così complicata.
    I nostri ragazzi sono bombardati costantemente dal primeggiare, dalla perfezione (spesso più fisica che di altro genere). Vivono in una continua sfida al vestito più bello e alla moda, l’ultimo modello di smartphone, il fisico magro.
    Quando vado a prendere mio figlio a scuola vedo sempre gruppetti di ragazzi e ragazze e la cosa che più mi sconvolge è l’uguaglianza: hanno tutti lo stesso taglio di capelli, lo stesso trucco, lo stesso smalto, la stessa giacca, lo stesso zaino.

    Li stiamo facendo crescere in un mondo dove conta di più l’apparire e non l’essere, ma non gli stiamo insegnando a tirar fuori la propria personalità, il seguire le proprie inclinazioni, le emozioni, i segreti e il risultato è che sono alla fine tutte persone fragili.
    E sono proprio queste fragilità (ossessioni, anoressia, bulimia, anaffettività e tanto altro) a essere le vere protagoniste del libro.
    Credo che alla base di tutto ci sia paura, ma non comprendo di cosa e le mie idee diventano solo supposizioni. In questo libro ho trovato una frase che ho come l’impressione che possa essere la risposta alle mie domande

    “A volte le persone sono perse, perché hanno troppa paura di osservare la strada. A volte le persone evitano il percorso, per paura di quello che potrebbero trovarci. È più facile starsene nell’ombra e guardare.”

    Voi che ne pensate? Che ricordi avete della vostra adolescenza?

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